Università Sapienza di Roma diventa il crocevia di una controversia che supera i confini dell’educazione per sfiorare quelli del conflitto ideologico e della violenza, sollevando interrogativi sul significato stesso di ‘sapere’ in una società frammentata.
Qualche volta, in realtà spesso, il nome e la cosa non si prendono. Con buona pazienza dei semiologi. Gli scontri violenti di martedì 16 aprile alla Sapienza di Roma tra forze dell’ordine e studenti che manifestavano contro gli accordi accademici dell’Ateneo con Israele e in senso più ampio per i diritti dei palestinesi, ci dicono che di “sapiente” in questa vicenda c’è ben poco.
Stando alla semantica, niente di saggio, di illuminato intellettualmente, ma neanche niente di libero e di tollerante. Mettiamo in fila le cose allora. Innanzitutto il numero degli agenti feriti dice che tra le fila di chi protestava c’era gente ben avvezza all’uso della violenza, altro che poveri ragazzotti smarriti (vedi Pisa) e manganellati. Anzi , qui si parla di veri e propri infiltrati, anarchici e almeno un estremista islamico.
Il Presidente del consiglio, Giorgia Meloni, ha detto :”Devastazioni, aggressioni, scontri, assalti a un Rettorato e a un Commissariato, con un dirigente preso a pugni. Questo non è manifestare, ma delinquere”. Certo è che da un po’ di tempo che le nostre università da luoghi simboli del pensiero e del confronto intellettuale, si stanno trasformando in pericolosi laboratori ideologici della cancellazione dell’altro. E’ successo con lezioni e conferenze annullate se i nomi dei protagonisti non avevano le stesse idee dei cosiddetti collettivi studenteschi, ora si scimmiotta lo stesso equivoco delle piazze in favore di Gaza.
Va bene rimarcare i diritti della popolazione palestinese, va bene ricordare al mondo le sofferenze di civili incolpevoli, va bene anche criticare politicamente ed eticamente Israele, ma le bandiere bruciate e le altre forme di esternazione dell’odio non fanno che rinfocolare il seme dell’antisemitismo mai sopito in Europa. Il più grande ateneo d’Europa, la Sapienza di Roma, è liberissimo di fare accordi con Israele nel suo ambito, ne va della libertà di un’istituzione fondamentale in una democrazia, quella della formazione.
La contestazione di questa libertà non è assolutamente la via per una soluzione dei problemi, né la violenza aiuta la diplomazia internazionale o quantomeno la incoraggia nell’ottenere un cessate il fuoco immediato lì dove si combatte e si muore. Non possiamo certo chiedere alla variopinta compagine di martedì scorso di ispirarsi a Ghandi, ma di essere un po’ più “sapiente” sì, perché la barbarie annulla il pensiero e porta solo ad altre barbarie.